ASSOCIAZIONE CULTURALE ITALIA MEDIEVALE
Alcuni personaggi storici sono talmente conosciuti da perdere ogni reale consistenza.
Tutti, o quasi, ne conoscono il nome e quindi tutti ritengono di conoscerne anche la vera storia.
Uno di questi personaggi è Gengiz Khan, i cui eserciti, anzi le “orde” mongole, hanno sempre
ispirato sentimenti di terrore nel nostro mondo d’antichi sedentari. Magari abbiamo visto solo
The Conqueror, vecchio film del 1956 con un John Wayne dagli improbabili baffetti cinesi e con
una Susan Hayward, bellezza troppo morbidamente hollywoodiana per interpretare una di quelle
durissime donne mongole, capaci di guidare i guerrieri.
Quello di Cossuto è, dunque, un libro in grado di rovesciare le nostre idee preconcette,
avviandoci verso una reale conoscenza, a cominciare dalla parola d’origine turco-mongola orda
(ossia ordu), che da noi si è caricata di significati negativi, mentre in realtà vuol dire
solo “esercito”. E se fra quei significati ad essa attribuiti ci sono quelli di barbaria e
violenza senza regole, niente di più sbagliato. Gli eserciti mongoli sono, nel medioevo, quelli
più ordinati e organizzati, dotati di armi frutto di una complessa tecnologia, e guidati con
tecniche raffinate: nel nostro Occidente bisognerà attendere a lungo per avere qualcosa di simile.
Ma appartenente a una cultura diversa dalla nostra, Gengiz Khan, insieme ai suoi guerrieri, ci è
parso del tutto estraneo, infernale, evocazione improvvisa di Gog e Magog, sorto dalle ombre del
Tartaro, e Tartari verranno chiamati i suoi uomini. In realtà i Tatari erano una popolazione
turca che partecipava, con altre genti, alle azioni degli eserciti mongoli. Che poi moltissimi
fossero i Turchi nelle armate mongole, e che questi, una volta islamizzati, abbiano dominato a
lungo la Russia, avviandola su una strada particolare, è un’altra storia dalle complesse implicazioni.
Certo i Mongoli, con le loro conquiste dalla Cina all’Asia Centrale, avevano inglobato nel loro mondo
molteplici culture che diedero, ognuna, un contributo ai loro straordinari successi militari.
Ma vediamo, dall’inizio, qualcuno dei pregiudizi che il libro di Cossuto contribuisce a cancellare.
Possiamo, così, ricordare che i nomadi non derivano dai cacciatori, ma dagli agricoltori.
Le buone terre coltivabili dell’Eurasia erano limitate, così la crescita della popolazione spingeva
una parte di questa verso zone marginali, e infine molti sceglievano la vita del pastore, poi del nomade.
L’allevamento appariva più sicuro dell’agricoltura, e al suo interno potevano svilupparsi molteplici
specializzazioni per molteplici attività artigianali.
La “macchina da guerra delle steppe” era basata sulla tradizione mongola, perfezionata dagli apporti
delle popolazioni sottomesse a tributo. Composta essenzialmente da cavalleria, leggera e pesante,
avevano nell’arco composito l’arma assoluta di quei tempi. Impiegato da abilissimi e veloci cavalieri
con una trazione di 80 kg e una portata utile fino a 300 metri, poteva passare qualunque corazza e
aveva una rapidità di tiro impressionante. Gengis Khan, inoltre, aveva frammentato la fedeltà tribale,
formando nuove unità militari del tutto fedeli ai propri capi, mobilissime che potevano, così, adattarsi
ad ogni situazione tecnico-tattica.
L’Occidente avrebbe potuto opporgli solo il longbow, l’arco lungo inglese, fatto di un solo pezzo di
legno del tasso mediterraneo, ma era molto più ingombrante e diveniva realmente risolutivo solo se
impiegato dietro ripari. Gli uomini del longbow batterono i Francesi a Crecy, Poitiers, Azincourt, ma
alla fine gli Inglesi, proprio per quella staticità dei loro arcieri, vennero scacciati dal territorio francese.
La tattica costante dei popoli delle steppe, che sarà poi applicata dagli Ottomani nella loro avanzata
verso Vienna e Venezia, era quella della finta fuga che, a volte, si protraeva per giorni.
Seguiva l’attacco improvviso con le frecce, da lontano, poi con la cavalleria pesante.
A questa tecnica si aggiungevano raffinatissimi metodi di guerra psicologica, con spie e agenti provocatori
che precedevano gli eserciti. Veniva perfino impiegato una cortina di fumo puzzolente, nel quale apparivano
insegne terrorizzanti con code nere di cavallo e ossa incrociate, in una creazione degna di un buon regista
di un odierno film del terrore. E possiamo aggiungere anche le macchine da guerra, per l’assalto alle mura
delle città, con fanterie dei popoli sottomessi, e i primi cannoni, derivanti dalla cultura cinese.
Ma c’è un immenso contrasto fa il carattere di Gengiz Khan, pio e ragionevole, il cui compito divino è
mantenere il mondo in equilibrio, garantendone la pace, e i metodi durissimi con i quali il suo impero
veniva guidato, per riscuotere i tributi delle popolazioni sottomesse e per assicurare quella “pace mongola”
nella quale, si diceva, una vergine su un carico d’oro poteva viaggiare tranquillamente. Un solo Dio in cielo
e un solo Imperatore in terra, e ognuno, in questo nuovo mondo, poteva restare fedele al proprio Dio in una
incredibile tolleranza religiosa, ma per ottenere questa unità le distruzioni furono immense: l’Iran orientale,
centro culturale d’Eurasia, non doveva più riprendersi, mentre le città venivano distrutte come macchie nella creazione.
Strumento di questa politica era il terribile cavaliere mongolo dall’aspetto pauroso, che cresce e vive a cavallo,
che non si lava perché l’acqua è sacra e non deve essere inquinata. Era tanto il terrore da lui destato, che ne
bastava uno solo per ottenere la resa di una numerosa carovana di mercanti. Pure grazie a questi terribili
guerrieri giungono fino a noi occidentali innovazioni fondamentali come l’arte della stampa, ed entriamo in
contatto con la civiltà dell’estremo oriente.
Ma certo il nostro Occidente venne salvato solo dalla morte del Khan Ogoday, che obbligò i Mongoli a tornare in
Oriente, quando le avanguardie della loro ala sinistra, dopo aver distrutto Kiev, battuto Ungheresi Polacchi e
Tedeschi, erano giunte in vista dell’Adriatico, vicino Spalato. Ma quale sarebbe stato il destino dell’Europa
occidentale, una volta conquistata? I Mongoli, dopo la vittoria militare, avrebbero stabilito la loro sovranità
imponendo un tributo, i sovrani avrebbero dovuto sottomettersi ritualmente e periodicamente davanti al khan o ai
suoi rappresentanti, seguitando ad applicare le proprie leggi, adorando le proprie divinità. Lo stesso Gengiz Khan
era stato estremamente interessato alle religioni diverse dal suo tradizionale sciamanesimo, e nel suo impero
cristianesimo nestoriano, islam, buddhismo, manicheismo potevano liberamente prosperare. La vita straordinaria
di Gengiz Khan ci viene tracciata, nel libro Cossuto, e seguendola sembra realmente guidata da un potere superiore,
dal kut d’origine divina, tanto i suoi successi appaiono incredibili.
Fra gli Stati successori di quello mongolo, sarà l’Impero Ottomano, anch’esso unione di molteplici tradizioni,
a mantenere alcune caratteristiche dell’Impero di Gengiz Khan. E sarà tanto il rispetto per questa tradizione,
che a lungo i gengiskhanidi Khan di Crimea vennero considerati come gli unici a poter prendere il posto degli
imperatori ottomani, se questi non avessero avuto una discendenza maschile. Inoltre nella tughra, la tradizionale
firma dei Sultani ottomani, che pur con nomi diversi riprendeva costantemente una stessa forma, questo sacro
titolo di khan veniva attribuito solo al nome del padre del Sultano, non a quello regnante, e questo fino
al XVIII secolo, con Mahmud I (sultano dal 1730 al 1754), quando ormai i discendenti di Gengiz Khan perdevano il
loro potere reale.
In definitiva questo libro di Cossuto è utile, specie in questo tempo in cui si parla di guerra fra civiltà,
anche per rendersi conto della pluralità di culture, della pluralità di punti di vista che potrebbero contribuire
a dare forma a un nuovo mondo, se da ognuna fossimo in grado di trarre gli elementi vitali.
Giacomo E. Carretto