IL GIORNALE.IT-15 maggio 2011-Le ombre russe dimenticate nel ghiaccio
Le ombre russe dimenticate nel ghiaccio
di Gian Maria De Francesco
Il giovane storico romano Matteo De Santis racconta la campagna di Russia con documenti, ricerche bibliografiche e testimonianze dirette.
ROMA - C'è una pagina della storia italiana rispetto alla quale il mondo accademico e quello della pubblicistica spesso hanno voltato la testa. Una giustificazione è rappresentata alla ferita inferta all'orgoglio nazionale. Un'altra spiegazione è legata alla volontà di non «polemizzare» con un Paese che, per un motivo e per l'altro, è stato sempre vicino all'Italia.
Ecco perché l'opera del giovane storico romano Matteo De Santis «Ombre nel ghiaccio - Storia e memorie della campagna italiana di Russia 1941-1943» (Edizioni Chillemi, 353 pp., 24 euro) acquista una rilevanza non trascurabile. In primo luogo, perché rimuovo un ostacolo alla memoria affrontando un argomento rimosso. In secondo luogo, perché la materia è affrontata «storicamente», cioè senza paradigmi e tesi da confermare, ma semplicemente narrando documentalmente.
La prima sezione «I fatti» è di notevole valore intrinseco giacché analizza, viviseziona e sintetizza i movimenti, le operazioni, le vittorie e la tragicità del fronte russo per il Corpo di spedizione prima e per l'Armir poi. Si tratta di uno spaccato di teoria e prassi militare non indifferente che contribuisce a far luce su un momento storico spesso sbrigativamente liquidato come mero appoggio militare alla Wehrmacht. La realtà storica non era quella anche se corrisponde purtroppo alla realtà l'inadeguatezza degli armamenti e degli equipaggiamenti del contingente. Si segue tutta la campagna dai successi del Donetsk fino all'arresto sul Don e alla tremenda ritirata dopo Stalingrado. Un'epopea che costò la vita di 94mila persone.
La seconda parte, frutto della ricerca sulle memorie scritte dei reduci, entra nel quotidiano del soldato al fronte, in una ricostruzione, frutto delle testimonianze dei sopravvissuti, realizzata grazie all'analisi di circa cinquanta testi pubblicati dal 1943 al 2001. Non solo i «classici» di Nuto Revelli e Mario Rigoni Stern, ma anche le opere «minori» di coloro che erano riusciti a tornare in patria. La sezione ripercorre le tappe dell'esperienza di un soldato: la partenza dall'Italia, il viaggio in treno, il primo approccio con una realtà diversa, il rapporto con i civili russi e con gli alleati tedeschi, le principali battaglie, la tragica ritirata e, infine, la prigionia. Degradando dall'ottimismo della partenza del Csir che confidava di aiutare l'alleato nazista a infliggere il colpo finale al nemico comunista fino all'orrore della fine e passando per le brutalità del conflitto: le privazioni, le violenze tedesche nei confronti dei civili e degli ebrei e la sostanziale «diversità» dell'Esercito italiano che non mancò di sostenere, anche umanitariamente, le popolazioni russe e ucraine.
Il terzo e ultimo capitolo è dedicato alle interviste a dieci reduci. Una parte che esplora i drammi del combattente: costretto a mangiare le carcasse dei muli da trasporto, altrettanti reduci e conduce il lettore nelle vite di quei soldati, a combattere oltre che col freddo anche coi pidocchi, a scegliere tra la propria vita, quella del nemico e dell'alleato con esiti tanto imprevedibili quanto drammatici.
La preoccupazione di De Santis è tutta «storiografica»: descrivere ciò che è accaduto nelle trincee e nei bunker e non negli alti comandi. Alla meticolosa consultazione dei documenti dell'Ufficio storico dello Stato maggiore si è perciò aggiunta la ricerca di altre fonti bibliografiche oltre all'intervista che è l'origine stessa della cronaca. Non indulgere nelle apologie e non ricadere nelle verità preconfezionate. L'obiettivo che l'autore si era prefisso si può dire compiutamente raggiunto. soprattutto se si considera che la seconda parte ha comportato un lavoro di selezione su materiale nel quale necessariamente emergeva il substrato ideologico del testimone diretto. È lecito ipotizzare che l'opera complessa e multiforme di De Santis non possa restare un «hapax»: il racconto del «day after» potrebbe essere altrettanto avvincente.
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