ANPI - “Il ragazzo del ponte”
Roma, 5 giugno 1944 (primo giorno della Liberazione della città). Ugo Forno, Ughetto per tutti, ha dodici anni compiuti da un mese. Ha frequentato la seconda media, sezione B del “Luigi Settembrini”. L’anno scolastico 1943/1944 è terminato a metà maggio. Sul registro della classe, l’insegnante ha scritto di lui: “Giudizio finale: dotato di intelligenza vivace e pronta, pieno di amor proprio, ha saputo conseguire un brillante risultato”.
Ugo Forno, come tutti i ragazzi della sua età, durante il Ventennio, aveva indossato la divisa dei Figli della Lupa e dei Balilla. Ma la sua famiglia era animata da sentimenti antifascisti. Dopo l’8 settembre 1943 – ha scritto Mario Avagliano sul “Messaggero” (18 maggio 2012), presentando il libro – il padre Enea era diventato collaboratore del Fronte militare clandestino, diretto da Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo.
Ughetto, quella mattina del 5 giugno 1944, esce di casa presto; dice alla mamma che va da un amico, nello stesso palazzo; però ha deciso di andare incontro agli Alleati. Un amico di famiglia che abita nella stessa scala dell’edificio lo vede uscire di corsa saltellando.
Poco dopo è a piazza Verbano. “Ugo era sereno girava tra le jeep dei soldati americani, aveva un paio di pantaloncini corti e una maglietta, con sé non aveva nulla”, ricorda un compagno delle elementari. Successivamente Angiolo Bandinelli, che diverrà parlamentare radicale, lo vede in mezzo a delle persone tra via Ceresio e via Nemorense, mentre gridava: “C’è una battaglia, lassù oltre piazza Vescovio! Ci sono i tedeschi, resistono ancora”.
È allora che, assieme ad altri ragazzi, si dirige verso una grotta dove erano state nascoste delle armi abbandonate dai soldati, dopo l’8 settembre 1943, avviandosi poi verso una casa colonica, dove un gruppo di contadini sta mangiando. In modo deciso, Ugo Forno li informa che i tedeschi stanno minando il ponte ferroviario sull’Aniene. Una decina di guastatori tedeschi, in tuta mimetica, sta piazzando sotto le tre arcate grossi pacchi di esplosivo e stendendo i cavi elettrici per l’accensione. Il gruppo di Ugo Forno, composto da suoi coetanei e rinforzato dai contadini, coglie di sorpresa i tedeschi che rispondono con la copertura di carri armati e di un reparto che sta fronteggiando gli americani che avanzano.
È uno scontro furioso. Ugo con i suoi sparano da dietro una casa colonica e sdraiati sopra un dosso. I guastatori capiscono che non faranno in tempo a concludere l’allaccio dell’esplosivo, così decidono di abbandonare l’operazione e iniziano a ritirarsi; operazione coperta da un mortaio. Un primo colpo raggiunge il figlio del proprietario dei terreni. Un altro è mortale per Ughetto che imbraccia un fucile alto quasi quanto lui. Alcuni partigiani, sopraggiunti in aiuto, avvolgeranno il piccolo eroe, ultima vittima della Resistenza Romana, nel tricolore.
Numerose le testimonianze di chi c’era, riportate da Felice Cipriani.
Ora su quel ponte transitano i treni “Freccia Rossa” e una targa delle Ferrovie ricorda l’eroismo di Ughetto.
Dopo tanti anni, il 30 maggio 2012 a Roma, il Campidoglio ha riconosciuto a Ugo Forno la Medaglia d’Oro al Valore Civile. Nella motivazione è scritto: “Nonostante la sua giovane età, senza esitazione, a costo della propria vita, si prodigò per la salvaguardia del ponte ferroviario. È esempio di uno spiccato senso civico e di un grande patriottismo”.
Per saperne di più vedere il sito dedicato (www.ugoforno.it).
Per la storia, questo dodicenne eroe è affratellato ad altri due “piccoli patrioti”. Il primo è Righetto, un bambino romano di 12 anni di Trastevere, orfano di entrambi i genitori, che si guadagna da vivere consegnando la merce ai fornai, in cambio di un po’ di pane. Era sempre accompagnato da una cagnolina che chiamava affettuosamente “Sgrullarella”. Nell’estate del 1849 si trovò a partecipare attivamente ai combattimenti della breve Repubblica Romana, come ricorda Paolo Conti nella prefazione. Con stracci bagnati spegneva le micce delle bombe lanciate, prima che scoppiassero. Il 29 giugno si trovava sulla spiaggia del Tevere, all’altezza di Ponte Sisto, e una granata gli cadde vicino; ma la miccia era corta e Righetto non riuscì a spegnerla in tempo. Inevitabile lo scoppio e la fine del piccolo eroe.
Il secondo è Gennaro Capuozzo (“Gennarino”, 1931 – Napoli, 29 settembre 1943). Eroe delle Quattro giornate di Napoli, l’insurrezione popolare che consentì la liberazione della città dall’occupazione nazista. Gennarino, dodicenne, morì a causa dell’esplosione di una granata tedesca, mentre lanciava bombe a mano contro i carri armati della Wehrmacht. Alla memoria, gli è stata attribuita la Medaglia d’oro al Valore Militare.
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